Il trecento, più ancora dell’epoca che i manuali chiamano del rinascimento, è stato il vero grande secolo degli italiani. nel trecento, con dante e con boccaccio, con giotto e con giovanni pisano, con arnolfo, con simone martini, con petrarca, la civiltà artistica italiana tocca il suo apice. ed è stato anche un secolo straordinariamente ricco, il trecento italiano. le arti figurative hanno bisogno di economia monetaria. non ci possono essere chiese e palazzi, dipinti e sculture, libri miniati e oreficerie, senza una vasta circolazione di denaro liquido. nell’italia del trecento il denaro gira in abbondanza, soprattutto nelle ricche capitali del centro-nord: a milano, a venezia, a padova, a bologna, a verona, a perugia, a siena, a orvieto, a firenze.
E' come se un fiume d’oro attraversasse le città della penisola lasciando mirabili testimonianze del suo passaggio. il denaro, frutto del lavoro e del rischio d’impresa, della mercatura e della intermediazione bancaria, diventa così pulpiti di chiese (Giovanni Pisano nella cattedrale di Pisa, in quella di Siena e nel sant’andrea di pistoia); diventa monumentali porte in bronzo (andrea pisano nel battistero di firenze), che sono capolavori di arte ma anche di organizzazione del lavoro e di sapienza tecnologica. diventa bassorilievi scolpiti (lorenzo maitani nella facciata del duomo di orvieto); diventa campanili (quello di giotto a santa maria del fiore) e fontane (quella di fra bevignate a perugia, prodigio di ingegneria idraulica). diventa oreficerie che possono costare come un palazzo (la custodia del sacro corporale di orvieto, di ugolino di vieri, il calice di guccio di mannaja custodito fra i tesori di assisi). Il denaro – in particolare quello delle grandi famiglie borghesi che vogliono nobilitare il nome assumendo il patronato di una cappella nelle chiese maggiori delle città – diventa soprattutto affreschi.
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