Credo sia stato albert camus a dire che la questione più pressante del nostro tempo è, per l’uomo, scoprire dov’è la sua casa. idea in apparenza strana, poiché la maggior parte di noi non deve domandarsi da che parte girarsi quando il crepuscolo cade. C’è una rotta che torniamo a battere giorno dopo giorno senza particolari esitazioni, tra fatica e speranza, attraversando le pareti del tempo: è questa la via di casa. ognuno di noi effettua, anche senza apposite riflessioni, traiettorie e rituali che sono tutti suoi: la strada che sceglie per il ritorno (sempre la stessa, o sempre diversa); il gesto familiare con cui gira, ogni giorno, la chiave; il modo (più lento, o più improvviso) di aprire la porta; quella frazione di secondo assolutamente marcante, prima di pronunciare la prima parola, in cui tutta la casa ci sembra venire incontro, trafelata o nel più puro riposo.
Che cosa avrà voluto dire camus quando scrisse: «ognuno deve scoprire la propria casa»? penso che la frase nasconda una sfida più essenziale: ogni persona non ha soltanto il compito di scoprire un’abitazione. ciascuno ha l’insopprimibile dovere di scoprire, vivendo con passione e sapienza la costruzione di sé, questo processo che, per definizione, è aperto e che va concretizzandosi lungo l’esistenza. siamo noi la nostra casa. e poterlo dire con semplicità e verità equivale a perpetuare ciò che ha inoltre scritto albert camus: «nel bel mezzo dell’inverno, / ho scoperto che vi era in me / un’invincibile estate».
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