Ormai, dagli anni cinquanta-sessanta del secolo scorso, dopo le ricerche di annie joubert sul calendario di qumran, e di shemarjahu talmon sul cosiddetto “turno di abia”, l’ipotesi di un’effettiva nascita di gesù nel giorno che noi celebriamo come la festa di natale ha assunto una sostanziosa plausibilità. senza tuttavia prender posizione su ciò, va comunque ricordato che ancora salda resta la tradizione, già viva nella prima metà del IV secolo – vale a dire nell’era costantiniana –, secondo la quale la chiesa di roma avrebbe introdotto la celebrazione della natività del signore – quindi della sua nascita in quanto vero uomo – al fine di sottolinearne al tempo stesso la divinità e la regalità, attraverso un processo che, con l’obliterazione d’una precedente consuetudine cultuale lasciata intatta nella forma esteriore – la fissazione calendariale – ma mutata nella sostanza, permetteva alla nuova ricorrenza di rafforzarsi attraverso il richiamo a quanto l’aveva preceduta.
Durante il solstizio invernale – momento culminante delle cosiddette libertates decembris (gli antichi saturnalia), con il loro rituale di rovesciamento delle gerarchie, quindi di rinnovamento dell’ordine attraverso una celebrazione simbolica del caos originario – si usava commemorare solennemente una festa avvertita come imperiale per eccellenza, il dies natalis solis comitis invicti, su cui torneremo più avanti. la settimana festiva solstiziale si apriva il 18, aveva il suo giorno centrale nel 21 (il solstizio, appunto) e si chiudeva il 24: il giorno dopo si celebrava solennemente l’ingresso dell’astro diurno nella corsa del nuovo anno.
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