Le icone russe cantano Maria, casa di Gesù

di Giovanna Parravicini

Nelle immagini della tradizione orientale si concentrano teologia e vertigine poetica

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«Il figlio eterno e ineffabile di dio, dio nostro egli stesso, vinto da tenero amore scese nel mondo per ritrovare la sua creatura smarrita, e in modo sapiente e divino, da dio qual era, si mise alla sua ricerca», canta l’innografo bizantino romano il melode (VI secolo), riecheggiando il misterioso passo scritturistico: «nel quieto silenzio che avvolgeva ogni cosa, mentre la notte giungeva a metà del suo corso, il tuo verbo onnipotente, o signore, è sceso dal cielo, dal trono regale» (sap 18,14-15), che la chiesa propone nella liturgia di natale.

L’incarnazione di cristo non è semplicemente il rimedio offerto alla colpa di cui, in adamo ed eva, si è macchiata l’umanità, ma il momento culminante del sempiterno disegno del padre, l’inaudita “rivoluzione” operata nel creato dalla sua tenerezza per la creatura. cristo è venuto al mondo per dare compimento alla creazione, per instaurare con ogni uomo un dialogo intimo e personale. per questo l’icona – specchio della redenzione – ha di mira la storia universale, assume come suoi interlocutori adamo ed eva, i profeti e i patriarchi, i re e i giudici del popolo ebraico, e addirittura i sapienti e gli oracoli del mondo pagano. e, nel contempo, la quotidianità nascosta della casa di nazareth e della grotta di betlemme. come ha detto papa francesco, «maria è colei che sa trasformare una grotta per animali nella casa di gesù, con alcune povere fasce e una montagna di tenerezza» (Evangelii Gaudium, 286).

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