La visione di venezia fu subito un incanto. «l’isola più verde della mia fantasia», scriveva all’amico thomas moore il 17 novembre 1816. era arrivato in barca, sette giorni prima, in una giornata di pioggia, in quella che sarebbe diventata la sua città: città ideale e sua città di fatto, se decise subito di stabilirsi. iniziò a frequentare la vita veneziana, imparò voluttuosamente la lingua. E in breve sarebbe divenuto uno dei grandi poeti e artisti e cantori di venezia: accanto a canaletto, guardi, vivaldi, goldoni, il nobile inglese george gordon byron.
Uno dei massimi poeti romantici, con shelley, keats, coleridge, novalis: la poesia torna a respirare l’anima del mondo. La venezia di byron non è solo quella del suo tempo, politicamente decaduta ma socialmente vivissima, allegra, luminosa, danzante, insufflata di ebbrezza, ma l’archetipo di venezia, impermeabile al tempo, il mito della città edificata sull’acqua, città specchio, laguna, calette, vetri, ovunque l’incanto delle trasparenze dorate e tornite di murano.
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