Ingmar Bergman. Un uomo è un'isola

di Viola Di Grado

Le spiagge di Fårö, dove visse il regista svedese. Qui il paesaggio riverbera la storia di un’anima

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In una delle sue ultime interviste, ingmar bergman tira fuori dalla tasca un foglietto a quadretti scarabocchiato e legge l’elenco dei suoi demoni. «il peggiore è il demone del disastro – comincia – ho un alto livello di preparazione al disastro». I più lo chiamerebbero “pessimismo”, ma il pessimismo attiene a un sentire empirico, inaffidabile, dell’esperienza ordinaria, invece il demone di bergman – e questo è chiaro in tutta la sua filmografia – riguarda la sostanza stessa della realtà, quella di cui il nostro prosaico agire quotidiano non si occupa minimamente.

Il “demone del disastro” è un’ipersensibilità al declino delle cose, alla consunzione, alla vocazione della vita di sbocciare appena un attimo prima di rivelarsi e poi appassire. è quella che i giapponesi – nella loro epoca d’oro di dame di corte coltissime e solitarie – chiamavano mono no aware, lo stordimento ammaliato di scoprire che ciò che è bello deve terminare, la consapevolezza che la bellezza viene proprio da un’acuta e preziosissima percezione della fine. dal “demone del disastro”, appunto. 

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