Per diciotto mesi, un anno e mezzo di vita, greta è vissuta nelle “terre aride” a occidente del lago turkana. una savana punteggiata di acacie e un cielo che, troppo spesso, ha il colore del latte. Greta è una giovane ricercatrice dell’università di oxford. non è un’esploratrice, non è una viaggiatrice, non è un’avventuriera, non è una giornalista. E' un po’ economista e un po’ antropologa. si occupa di nomadismo, di pastori transumanti, di popolazioni che noi definiamo nomadi. per mesi e mesi è rimasta sola. Ha accompagnato mandrie di cammelli, ha cercato acqua assieme alla gente turkana, ha dormito fra pietre e polvere, ha imparato a guardare il colore della terra, i segni degli alberi, il vibrare delle nuvole nel cielo. Non conosce ancora l’alfabeto delle “terre estreme” – non è possibile apprenderlo se non sei nato lì – ma ne ha intravisto alcune regole. troppo pochi diciotto mesi per diventare nomade. Troppo pochi per imparare la normalità di una terra inospitale. inospitale per chi? Ho già scritto di “terre estreme”. Per le riviste che anni fa ancora esistevano.
Anche per questa rivista. Scrivere e viaggiare era il mio mestiere, andavo in quelli che credevo essere i confini del mondo. niente di molto coraggioso: non attraversavo oceani come giovanni soldini, non mi avventuravo nell’artico come il fotografo vincent munier, non scalavo montagne nel cuore dell’himalaya. Certamente, i miei erano viaggi in terre che apparivano lontane, difficili, selvatiche, ma erano ben protetti (guide, fixers, autisti, scorte). Andavo in Dancalia, in certe regioni della patagonia, nel sahara oltre la linea delle oasi, anche un balzo sulla costa occidentale della Groenlandia.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Abbonati a Luoghi dell’Infinito per continuare a leggere
La rivista è disponibile in formato cartaceo e digitale
Abbonati alla rivistaSei già registrato? Accedi