Si è molto discusso se la croce di gesù fosse fatta a y, a t e via discorrendo. in realtà, non doveva esser diversa da quella usata per tutti i condannati a morte per mezzo di quel supplizio infamante, che non poteva essere inflitto agli uomini liberi e ai cittadini romani (salvo fossero humiles). la chiamavano arbor infelix.
La crux era, propriamente, l’insieme di due elementi: anzitutto un alto e robusto palo infisso nel terreno (in greco, appunto, stauròs, “palo”).
Di solito si trattava di una serie di pali, ai quali i condannati venivano appesi gli uni accanto agli altri quando erano più d’uno. il condannato giungeva ai suoi piedi portando sulle spalle il secondo elemento dell’ordigno, una trave anch’essa lunga almeno più delle sue braccia allargate: il patibulum, parola derivata dal verbo patere, “aprire”, perché originariamente si trattava della trave incastrata orizzontalmente dietro la porta per assicurarne la chiusura. al patibulum della porta di casa s’inchiodavano gli schiavi fuggitivi.
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