Abramo, il primo ebreo, il “patriarca fondatore”, sperimenta il passaggio esistenziale dall’idolatria al monoteismo. la torah e il midràsh rendono variamente conto di come questo passaggio sia avvenuto e dei suoi stadi: un interrogativo radicale e lacerante sulla pratica inveterata, ubiqua, omologante e indiscussa dell’idolatria, che risultava insoddisfacente per abramo; la presa di distanza dall’idolatria, tradottasi in netto rifiuto ed energica opposizione; una faticosa ricerca razionale e morale di una “causa prima”, di un principio e di un fine – una sorta di “ipotesi-dio” –; il rivelarsi personale e intimo del santo e benedetto ad abramo e alla sua discendenza con cui ha avviato un dialogo.
L’Egitto in cui discesero i figli di israele era all’epoca una società idolatrica, al pari della terra avita di abramo, ur dei caldei. non dissimilmente da ur, quella egizia fu una società eccezionalmente colta e progredita. l’idolatria, pertanto, non è necessariamente sinonimo di ignoranza, povertà e arretratezza: se così fosse, non potrebbe risultare seducente. la nascita fisica del popolo ebraico – il momento che vide fondersi in un unico popolo le dodici tribù di israele, accomunate dalla sorte – avvenne in egitto. L’uscita dall’Egitto corrispose tanto al passaggio da schiavitù a libertà, quanto a una più alta e più piena presa di coscienza del monoteismo.
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