All’interno della ricchissima simbolica cristica i riferimenti e gli strumenti della passione sono forse gli ultimi a presentarsi, in senso cronologico, dopo quelli relativi alla divinità e regalità di gesù nonché agli altri momenti della sua esistenza terrena: la natività, l’infanzia, il battesimo, l’entrata in gerusalemme, la resurrezione, l’ascensione. la stessa crocifissione, pur essendo con la natività e la resurrezione il momento culminante della sua esperienza di uomo oltre che di dio, rimase a lungo in ombra rispetto ad altri episodi, in quanto ritenuta evento prevalentemente luttuoso e doloroso, insomma “umano-troppo-umano”.
E quando la si cominciò a raffigurare si preferì a lungo sottolinearne gli aspetti divini: il cristo dagli occhi aperti e dall’espressione serena e regale anziché il più tardo christus patiens, veramente – insieme con il cristo morto della deposizione e della cosiddetta “pietà”, cioè del compianto – espressione finale e tragica della passione, con il suo corpo livido, piagato, contorto, l’espressione di immane dolore e gli occhi chiusi.
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