"La nera barba pende sopra il petto. / il volto non è il volto dei pittori. / è un volto duro, ebreo. / non lo vedo / e insisterò a cercarlo / fino al giorno / dei miei ultimi passi sulla terra". E' un frammento della poesia cristo in croce, datata “kyoto 1984”, che jorge luis borges compose a poca distanza dalla morte avvenuta nel 1986. la sua è un’intuizione profonda: ogni persona, credente o agnostica, ha nella propria immaginazione un volto del cristo crocifisso, così come ogni artista – nella folla immensa di coloro che l’hanno rappresentato – ha identificato un suo profilo di quell’uomo che ha saputo concentrare in sé, su quel legno piantato nel colle del golgota, il dolore universale. una traccia nelle carte profane.
Il realismo della crocifissione è per i vangeli il suggello autentico dell’incarnazione: il figlio di dio assume la specifica “carta d’identità” dell’umanità, che è il soffrire e il morire, qualità “impossibili” all’eternità e alla perfezione divina. attraversando realmente il terreno proprio di ogni uomo e donna, quello del limite, della finitudine, della sofferenza e della morte, egli diventa veramente nostro fratello.
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