Il primo giorno del mondo

di Franco Cardini

Nelle cosmogonie e nelle antropogenesi delle civiltà della storia è possibile identificare un principio di sacralità

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Nell’epoca del disincanto del mondo siamo usi a considerare in termini secolarizzati il principio di sacralità della vita, che leghiamo a considerazioni etiche e umanitarie: vale a dire di tipo immanentistico, per sua natura estraneo al sacro che, secondo la definizione del teologo e storico delle religioni rudolf otto (1869-1937), è ganz anderes rispetto a quanto è umano.  Nelle antiche civiltà, al contrario, non si rintraccia un’etica della “sacralità” della vita scissa dalla dimensione del divino. è infatti nella cosmogonia, la creazione o la generazione divina del cosmo, e nell’antropogenesi, la creazione degli esseri umani, che si può identificare un principio di sacralità: e anche in questo ambito con profonde differenze.

I miti induistici, per esempio, non presentano una creazione ex nihilo (l’idea aristotelica dell’eternità dell’universo appare difatti caratterizzata da un forte, originale segno indoeuropeo), bensì piuttosto una disposizione, un’organizzazione, una gerarchizzazione rituale degli elementi costitutivi dell’universo. uno dei miti a struttura più propriamente filosofica narra, secondo la versione offertaci dai veda, dell’uovo cosmico hiranyagarbha (“grembo d’oro”), identificabile con l’anima cosmica e nelle versioni più tardive con lo stesso brahma in quanto “respiro dell’universo”: esso naviga nell’oceano latteo universale, qualcosa di paragonabile al chaos-materia prima dei greci, avvolto in un’oscurità identificabile come la non-esistenza.

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