Là dove la vera natura è il colore

di Elena Pontiggia

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Si chiama Bibémus, ma non è un invito al bere, più o meno maccheronico. Le cave di Bibémus – si pronuncia con l’accento sulla u – sono le cave delle rocce con cui è stata costruita gran parte di aix-en-provence e sono famose per la loro pietra ocra, formata durante i millenni dai sedimenti marini. Cézanne aveva affittato una cascina lì vicino e le dipingeva spesso, prendendo ispirazione dalla loro geometria. lo si vede anche nel dipinto omonimo, ora esposto a milano a palazzo reale nella mostra dedicata alla collezione di Heinrich Thannhauser e del figlio Justin, storici galleristi monacensi, mercanti degli impressionisti e testimoni delle vicende artistiche delle avanguardie. donato al museo guggenheim di New York come tutta la loro raccolta, Bibémus (1894-1895) è uno dei tanti paesaggi che si incontrano nella mostra e invitano a qualche ragionamento sul tema della natura tra ottocento e novecento.

Dobbiamo però fare un passo indietro. gli impressionisti, di cui inizialmente aveva fatto parte anche cézanne, avevano dipinto un universo composto soprattutto di acque, nuvole, foglie, fiori: cose “leggere e vaganti”, per dirla con saba, rese ancora più lievi dalla forma senza spessore, dal colore chiaro e senza ombre, dalla pennellata rapida e a virgole. l’apparenza dei loro quadri era solare, come si ama dire oggi, e festosa, ma in realtà raccontava la brevità della vita. perché, come dice l’apostolo, “passa la scena di questo mondo”.

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