Per anni ho avuto la fortuna di vivere nello stesso palazzo della biblioteca ambrosiana ove si custodisce un imponente disegno a carboncino e biacca di ben 2,75 per 7,95 metri: è il cartone preparatorio che raffaello ha elaborato di suo pugno per abbozzare l’affresco della scuola di atene che avrebbe poi dipinto in vaticano nella cosiddetta “stanza della segnatura”. Come recita il titolo, l’opera rivela un raffaello filosofo che convocava in quel dipinto Platone e Aristotele, Socrate, Epicuro, Eraclito e Pitagora, persino Diogene e Alcibiade, ma anche Averroè e Zoroastro. Tuttavia il lessico iconografico che dominò la breve, ma intensa, vita cronologica e artistica dell’urbinate fu quello teologico.
Lungo sarebbe l’elenco e complessa l’analisi dell’immensa sequenza di soggetti biblici e religiosi che popolano le pareti del palazzo apostolico. ad esempio, la “stanza di eliodoro” è così denominata da un murale che rappresenta la scena narrata dal secondo libro dei maccabei (3,23-24), ove è appunto protagonista questo ministro siro. Ma nella stessa sala ecco la liberazione di san pietro dal carcere, episodio narrato dagli atti degli apostoli (12,1-19), con uno straordinario gioco di luce e tenebra (indimenticabile è la luna che si affaccia in un cielo estivo velato di nubi lievi). Tra le altre scene, facciamo emergere il tema eucaristico, raffigurato nella cosiddetta messa di bolsena col celebrante boemo in crisi di fede che, nel 1236, alla consacrazione vede l’ostia sanguinare, miracolo che generò la festa del corpus domini. A lato di quell’evento raffaello pone simbolicamente il “suo” papa, Giulio II che, inginocchiato, alza le mani giunte in preghiera, fissando in concentrazione il miracolo che sta compiendosi sull’altare, mentre le bionde guardie svizzere assistono anch’esse genuflesse nel loro sontuoso abbigliamento di velluto e raso con armature.
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