La Torah e il mistero del male

di Vittorio Robiati Bendaud

Dal Sacrificio di Isacco alle prove di Giobbe: il dolore dell'innocente e l'interrogativo sospeso

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Portare a parola la sofferenza è arduo e doloroso al contempo. Raccontare il dolore, lo sappiamo bene, può essere potentemente curativo e lenitivo; tuttavia, vi è un’inalienabile e non trascurabile ombra anche in tale delicata pratica. Permane sempre, cioè, qualcosa di inesprimibile, rispetto a cui la parola è inadeguata e impotente. L’urlo, la parola disarticolata o il pianto sono la cifra del dolore; oppure, ancora, il silenzio, il mutismo sconvolto della devastazione.

Alcuni Maestri di Israele hanno riletto – cosa autorizzata dal testo – il verso biblico «Chi è come Te tra gli dei, o Signore » con «Chi è come Te tra i muti, o Signore?». Questo duro interrogativo rende conto sia del silenzio divino dinanzi allo scandalo della sofferenza, appartenendo la risposta a Dio e a Egli soltanto, sia, forse, del mutismo divino per il dolore che Egli stesso prova, le sue lacrime. Scriveva il pensatore ebreo André Neher (1914-1988): «Queste lacrime Dio non le versa mai nelle “dimore esterne”, là dove degli spettatori – angeli, uomini, creature – potrebbero esserne testimoni.

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