Le città sospese al tempo del coronavirus

di Leonardo Servadio

Il lockdown ha trasformato gli spazi urbani in deserti. Un’esperienza che dà indicazioni sul presente e sul futuro

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E' stato pericoloso come una traversata del deserto. eccetto che questa volta è stato il deserto ad attraversare noi. e ora si attende la terra promessa. «l’emergenza del coronavirus – rileva lo psichiatra eugenio borgna – ha interrotto le nostre abituali relazioni sociali. ci siamo confrontati con la solitudine, insieme con la famiglia, ma talora nella famiglia. non c’è una sola solitudine, e dal modo in cui è vissuta essa può divenire fonte di riflessione, di silenzio interiore, di ascolto e colloquio, di comunione e preghiera, nel non lasciarci travolgere dalle paure...».

C’è chi ha paragonato a una guerra l’esilio in casa imposto dalla pandemia: ci sono stati i morti e gli atti eroici compiuti da medici e infermieri, in prima linea già prima di sapere con che armi combattere l’ignoto nemico invisibile. ma non ci sono state bombe, crolli e detriti, piuttosto ci siamo resi conto di un mondo improvvisamente stravolto. l’abbiamo visto nel fermoimmagine delle città vuote, sospese in un tempo allucinato, divenute lontane anche se a due passi da casa. splendide nei centri storici ritratti da aleggianti droni: i fori romani resi alla limpida purezza delle ricostruzioni cinematografiche, la sagrada familia a barcellona coi pinnacoli liberi tra spiazzi verdi senza code all’entrata, e a venezia i canali tornati azzurri. però senza di noi: le abbiamo guardate da fuori, le nostre città, pur standoci dentro.

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