Il deserto. romanticismo, esotismo e civiltà coloniale hanno condizionato il nostro immaginario tanto profondamente che questa parola ci evoca immediatamente enormi distese sabbiose di dune, sul modello del sahara nordafricano; già un po’ meno consueto, per noi, immaginarlo come un’ardua architettura di picchi rocciosi – il nevada o il colorado negli stati uniti – o una steppa simile al gobi centroasiatico; eppure tutti questi sono “deserti”, come quelli ghiacciati artico e antartico.
Ma si tratta di un immaginario recente. ancora fra tre e quattrocento il pittore gherardo starnina, dovendo illustrare la historia lausiaca (“storia delle laurai”, vale a dire degli eremi anacoretici) di palladio di galizia, redatto un millennio prima di lui e che narrava le storie della “tebaide”, il deserto attorno a tebe nell’alto egitto, dipingeva un pittoresco scenario di montagna poco popolato sì, ma ricco di fonti e di animali. è così che ancora ci s’immaginava la solitudo, che per gli eremiti europei quali certosini e camaldolesi era fatta di boschi e di montagne.
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