Anzitutto, mi presento: sono un tenente degli alpini. nello studio, poggiato sopra i libri, ho il cappello alpino, con una penna nera che un compagno di camerata, piemontese, la cui famiglia aveva un negozio di uniformi militari a cuneo, mi fece arrivare da casa sua quando fui promosso ufficiale, assicurandomi che era una vera penna d’aquila, e non una penna d’oca. Le penne bianche, degli ufficiali superiori, da maggiore a generale, dovrebbero essere di aquila reale, ma sono penne d’oca. Anche quella del generale di corpo d’armata francesco figliuolo, commissario all’emergenza anti-covid? Non ho dubbi. Lui ha una penna d’oca, io ho una penna d’aquila. Però, se c’incontrassimo, col capello in testa, davanti a lui io dovrei scattare sull’attenti, lui neanche mi vede. La mia prima nipotina, quando viene a trovarmi, accarezza con un dito la penna nera del mio cappello alpino e mi chiede: «nonno, sto toccando un’aquila io adesso?». Sì, bambina mia, stai carezzando l’ala di un’aquila.
Quel cappello è stato sulla mia testa in cima ai monti antelao, pelmo, civetta. sul civetta il mio plotone ha piantato una ferrata. una ferrata difficile. mi piacerebbe che ci fosse una lapide, a ricordare l’impresa: «questa ferrata è stata messa dal plotone del tenente ferdinando camon». del mio nome tra i premi strega non m’interessa niente, anzi un po’ me ne vergogno. a una targa col mio nome sulle dolomiti ci terrei. C’è questa lapide? no. Perché? perché il mondo è ingiusto. tuttavia di quella ferrata non ho un grande ricordo. Il plotone ha fatto tutto da solo. i miei alpini erano più bravi di me. Sull’antelao sono stato in vetta un giorno che nevicava, ma non era inverno, doveva essere maggio.
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