Prima di parlare, la natura guarda. e «fissamente», osservando un silenzio che incute nell’islandese una soggezione proporzionata a quella «forma smisurata di donna seduta in terra, col busto ritto, appoggiato il dosso e il gomito a una montagna». E' un incontro che non si dimentica, questo descritto da giacomo leopardi nelle operette morali. L’islandese ha lasciato la sua isola tra i ghiacci per sottrarsi alla tirannia della natura, sta vagabondando nel cuore dell’africa ed ecco che gli si para davanti una gigantessa dalla parvenza di roccia, che lo guarda, lo ascolta e infine pronuncia la terribile sentenza: «io sono quella che tu fuggi».
Non si scappa dalla natura, non ci si sottrae al suo sguardo, che non manca di suscitare negli esseri umani una soggezione difficile da giustificare. può essere la memoria di antiche leggende, come quella del basilisco, i cui occhi hanno il potere di trasformare in pietra i malcapitati. Più letale di così, commenta geoffrey chaucer nei racconti di canterbury, è solo la leggerezza con cui uomini e donne ammiccano gli uni alle altre, alimentando il vizio della lussuria. Nella maggioranza dei casi, però, lo sguardo della natura risulta inquietante di per sé, senza bisogno di ricorrere a spiegazioni moraleggianti. Durante una delle sue passeggiate nella campagna senese, per esempio, lo scrittore federigo tozzi si imbatte in un ramarro: «mi fermai, perché non scappasse. allora, guardando i suoi occhi paurosi e intelligenti, provai una delusione dolorosa: e feci il viso rosso di vergogna» (da bestie, 1917).
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Abbonati a Luoghi dell’Infinito per continuare a leggere
La rivista è disponibile in formato cartaceo e digitale
Abbonati alla rivistaSei già registrato? Accedi