La lotta fra papato e impero, che infuriò violenta al tempo degli imperatori della casa di svevia – federico i (1152-1190) ma soprattutto suo nipote federico ii (1194-1250) –, sembrò dividere l’italia in “guelfi” (fautori del papa) e “ghibellini” (fautori dell’imperatore): una divisione, questa, che sarebbe rimasta a lungo, tanto che nella toscana cinquecentesca, per esempio, si sarebbe ancora parlato di “guelfi” e “ghibellini”. in realtà però, queste “parti” o “fazioni”, lungi dal corrispondere a partiti nel senso moderno del termine, non erano propriamente neppure schieramenti coerentemente contrapposti. Non si diventava guelfo o ghibellino per scelta autonoma o per decisione animata da un problema di coscienza, bensì a seconda che i propri avversari appartenessero a questa o a quella parte; e d’altronde non era raro, nell’italia due-trecentesca, il vedere guelfi scomunicati dal papa e ghibellini posti al bando dall’imperatore.
Del resto, se in una città prevaleva il partito guelfo, cacciando in esilio o sottomettendo i ghibellini, questi si collegavano immediatamente alle vicine città ghibelline per far lega contro la propria patria; e, naturalmente, viceversa. in tal modo, la lotta fra città si complicava con la lotta civile all’interno di ciascun centro urbano, e la spirale di violenza e di vendetta così aperta diveniva insanabile: all’ombra e con l’alibi dei nomi “guelfismo” e “ghibellinismo” si consumavano le più feroci efferatezze. la premessa è necessaria perché al tempo di dante, e in modo specifico nella sua firenze, la lotta fra le diverse forze cittadine si intrecciò con quanto avveniva nel resto d’italia e d’europa.
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