L’infinito eccesso e l’ardor del desiderio

di Carlo Ossola

Come leggere oggi la Divina Commedia? Lo stesso Dante ha costruito il poema perché potessimo immedesimarci in lui

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Come avrebbe voluto dante che noi leggessimo il suo poema? come dobbiamo oggi leggerlo? nella divina commedia è descritto un itinerario che chiede di essere compreso, ma anche – come scrive papa francesco nella lettera apostolica candor lucis aeternae – «di essere in certo qual modo imitato, di farci suoi compagni di viaggio». occorre dunque munirci di uno sguardo capace di abbracciare l’infinito o piuttosto di lasciarci assorbire nell’infinito.

Tra i “luoghi dell’infinito” va contemplato quell’ «infinito eccesso» che continuamente trabocca oltre la visione, per quanto privilegiata, del pellegrino e del poeta dante: «non poté suo valor si fare impresso / in tutto l’universo, che ’l suo verbo / non rimanesse in infinito eccesso» (par xix, 43-45). Questo debordare di grazia e d’amore è annunciato al centro stesso del poema e ne rimane il segnacolo: «quello infinito e ineffabil bene / che là su è, così corre ad amore / com’a lucido corpo raggio vene. / tanto si dà quanto trova d’ardore» (purg xv, 67-70). A tale traboccare corrisponde – dovrebbe corrispondere – pari sete di ricevere, di attingere, come il poeta segnala all’inizio dell’ascesa al paradiso: «la concreata e perpetüa sete / del deiforme regno cen portava / veloci quasi come ’l ciel vedete. / beatrice in suso, e io in lei guardava» (par ii, 19-22).

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