Dall’isola all’infinito

di Gianfranco Ravasi

Tempo umano ed eternità sono due poli dialettici, ma nel mistero dell’Incarnazione diventano uno

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Nella prefazione al suo tractatus logico-philosophicus (1921) il filosofo viennese Ludwig Wittgenstein, illustrando lo scopo della sua ricerca, affermava che era sua intenzione investigare i contorni di un’isola, ossia l’uomo circoscritto e limitato. Ma ciò che aveva alla fine scoperto erano le frontiere dell’oceano. La metafora è chiara: se si percorre il litorale di un’isola, guardando solo al suo tracciato terrestre, si riesce a computarla, definirla, identificarla. ma se lo sguardo si volge verso l’altro versante della costa, si intuisce il distendersi del mare infinito. in sostanza nell’essere umano si ha un intreccio tra la finitudine e l’infinito, tra un contingente sperimentale e un oltre altrettanto significativo ma più imponderabile.

Nella storia del pensiero si sono, così, confrontati due modelli estremi. c’è chi ha optato solo per l’isola, scegliendo le varie forme di immanentismo, coi loro corollari razionali, etici, esistenziali, persino sociali. essi potevano anche esasperarsi, come nel razionalismo, nel materialismo, nel fenomenismo, nel relativismo, nel soggettivismo, nel secolarismo, nello stesso postumanesimo e in certi approcci tecnologici radicali. l’antropologia risulterebbe, così, amputata da ogni dimensione trascendente, fissandosi solo su un orizzonte privo di verticalità. c’è, però, anche l’estremo opposto del trascendentalismo, che si protende soltanto verso l’oceano, il mistero, l’infinito e l’eterno, talora decollando dalla realtà verso il cielo purissimo ma astratto del dogmatismo, del fondamentalismo, dell’ideologismo e persino dell’assolutismo sacrale.

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