La celebrazione liturgica, prima ancora di “comunicare” una forma di chiesa, la “fa”. la imprime e la esprime nel suo stesso esercizio (assai più che attraverso le insopportabili istruzioni-monizioni che la trafiggono da ogni lato, rompendone l’incanto). nonostante la proclamata natura di “culmen et fons” della liturgia, la centralità della celebrazione dei santi misteri non accade ancora con l’evidenza corrispondente nella quotidiana pratica ecclesiale.
Naturalmente, il mistero accade comunque, anche nella nostra pochezza, che spesso riduce il rito a mesta incombenza disciplinare o a fantasiosa animazione dopolavoristica. però, il tema dell’adeguamento che deve essere messo a fuoco è strutturale, non contingente: senza questa messa a fuoco, sarà difficile mettere in circolo l’ethos rituale che ci è necessario per restituire l’entrata in liturgia all’incanto che le è proprio. di che cosa parliamo? Parliamo del fatto che, per quanto riguarda la liturgia, il passaggio alla contemporaneità dell’ethos che deve ospitare e confermare la bellezza di una celebrazione cristiana eloquente, nell’habitat della città secolare, non è ancora avvenuto. non si tratta della ricerca di espedienti per “animare” la liturgia, come continua a recitare il benintenzionato lessico pastorale, vistosamente privo di esiti minimamente apprezzabili.
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