Il coraggio della parola

di Davide Rondoni

I poeti, forse più degli altri, sono coloro che riescono a dare una definizione positiva della pace

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La guerra scompone, disarticola, crea decomposizione. l’arte invece compone, e per quanto confusamente, pur prendendo risorse da scomposte immaginazioni, da ferite e lacerazioni, tende a unire. arte e guerra sono perciò diametralmente opposte. il che non significa meccanica alternativa: dove c’è la guerra spesso fiorisce l’arte, e non di rado impeti di guerra sono accompagnati da azioni artistiche, in nuovi e antichi imperi. ma ora, in un tempo dove matura un ripudio della guerra, se pur con troppe eccezioni, il binomio guerra e arte si pone in tensione dialettica nuova.

L’arte oggi non può che essere per la pace. le proporzioni della “inutile strage” a inizio novecento, e gli effetti della bomba nucleare, hanno reso più attiva, nei popoli occidentali di cultura cristiana, una presa di coscienza forte contro la guerra. per questo se si pronunciano a favore dei conflitti gli artisti lo fanno per servilismo o delirio estetizzante (così fu in parte in occasione della prima guerra mondiale e credo anche oggi, a giudicare dallo strano entusiasmo o silenzio di molti). o perché preoccupati per la madrepatria. questione complessa, questa seconda, al volger di un’epoca che ha svilito il concetto stesso di madrepatria, non necessariamente portando più libertà e pace. poesia e guerra così convivono, ma la prima, componendo sempre, nega all’altra l’ultima parola.

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