I Farnese tra arte e potere

di Simone Verde

Una mostra a Parma racconta la potente famiglia del Cinquecento collocandone le scelte artistiche entro dinamiche politiche ormai globali

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Nel 1539, diego de alvarado huanitziun, nobile nauha ispanizzato e governatore fantoccio di tenochtitlan, commissionò ad alcuni artigiani aztechi un quadro realizzato con piume d’uccello quale segno di riconoscenza per il più generoso atto compiuto da un europeo nei confronti degli indios. il beneficiario dello splendido dono doveva essere Alessandro Farnese, ovvero Papa Paolo III, che solo due anni prima aveva provocato un vero e proprio terremoto nei territori spagnoli di nuova conquista, pubblicando la bolla papale sublimis deus in cui stabiliva una volta per tutte la natura umana delle popolazioni indigene delle americhe e ne condannava lo sfruttamento. quest’opera di eccezionale potenza, ispirata a una incisione olandese che rappresentava il celebre miracolo della messa di san gregorio, avrebbe dovuto finire nelle collezioni del papa e, se mai fosse giunta a destinazione, sarebbe stata forse sistemata tra le altre creazioni extraeuropee di palazzo farnese.

Scomparsa invece nel nulla, può dar­si rubata da pirati francesi, riapparve soltanto all’inizio del secolo scorso in un mercato delle pulci e finì qualche decennio dopo nel museo dei giacobini di auch, in occitania, ora musée des amériques. mai esposta in italia, lo è per la prima volta a parma in occasione della mostra “i farnese. architettura, arte, potere”, in un vero e proprio evento storico che, seppure per qualche settimana, la vede ricongiungersi alle raccolte cui, in quel lontano 1539, era stata destinata.

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