Quando sulla strada dal porto di olbia superi arzachena e ti dirigi verso l’entroterra, in direzione di luogosanto, il navigatore perde il segnale e dopo un po’ anche tu che ti guardi attorno puoi non sapere più esattamente dove sei. in questo orizzonte senza traccia di uomo, di colline verdi e selvatiche, di boscose tane di cinghiali. non un traliccio, non un ripetitore: solo la strada dolce e sinuosa che se ne va, come qualcuno che non abbia alcuna fretta, fra le colline. il mare è ancora lontano, ma lo si sente nel cielo che a nord è terso, e solcato da nuvole leggere. il cippo di un confine di campi, un gregge di pecore che proprio ora decide di traversare, placido, la strada. ti fermi, le stai a guardare, sorridi: gallura, un altro mondo. (ma appena ieri non eri su un metrò affollato, a milano? no, non è possibile, devi aver sognato).
In questo mondo altro, dunque, così verde in primavera, così riarso d’estate, non ti parrebbe strano che una di quelle grosse gobbe di roccia all’orizzonte si muovesse: e mostrasse di essere, in realtà, un dinosauro dimenticato in mezzo alla brughiera.
ma via, concentrati, guarda le indicazioni. luogosanto, un paese in cima alla collina. sei di fretta, lo sfiori. qui sono sorte nel tempo ben ventidue fra chiese, cappelle votive ed eremi. perfino una basilica romanica, bellissima, del tredicesimo secolo. ventidue chiese, nell’area di pochi chilometri. cos’avrà di particolare questo luogo, ti domandi, perché tanti nei secoli ci siano venuti a pregare? bisognerà tornarci, ti dici. bisognerà capire.
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