Può piacere o no: ma la guerra – intesa, al di là dei numerosi valori metaforici che la parola ha assunto nel tempo, nel senso di contesa armata tra due gruppi umani tesa al conseguimento di un risultato al quale entrambi ambiscono e a proposito del quale qualunque intesa sia risultata impraticabile – è un’antichissima compagna del genere umano. e, al pari di altre sue “colleghe” tanto poco auspicabili quanto ardue o impossibili a evitarsi (malattie contagiose, crisi alimentari, catastrofi naturali: insomma, i “cavalieri dell’apocalisse”), riempie il nostro mondo, le nostre preoccupazioni, il nostro immaginario molto più di quanto siamo disposti ad ammettere. certo, nel “nostro occidente” (continuiamo ancora a utilizzare quest’ambigua espressione) v’è al riguardo qualcosa di nuovo rispetto alle altre culture e al passato del genere umano.
Stiamo sperimentando proprio in questi tempi – complice la coincidenza del presentarsi di un’ostinata pandemia e l’affacciarsi in europa di un conflitto che potrebbe anche avvicinarsi ulteriormente ai nostri confini e coinvolgerci – il disagio di un pericolo che incombe e rispetto alla responsabilità del cui delinearsi non possiamo non dichiararci né estranei né innocenti.
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