Sembra non aver fondo. porta in sé una strana violenza. come se ancora tutto tremasse qui per l’antica frana. come un grido di dolore. come un amore autentico. il lago sta là, a forma di cuore, se visto dall’alto, e così replicato in mille e mille fotografie. ma se è cuore è anche come un imbuto, un cannocchiale puntato verso il centro ardente della terra, della vita. verso il fuoco profondo del vivente. e lo specchio d’acqua, visto da basso, è una lente, che riflette il cielo che cambia, cambia incessantemente.
qui il mondo ha una grande misteriosa eloquenza.
Fai le gole dette del sagittario, tra boschi, strapiombi, aperture lucenti su altri piccoli laghi. zona di orsi e di silenzi a picco dal cielo. arrivi a scanno, luogo mitico per i fotografi, per i romani che vogliono rinfrancarsi dalla orizzontalità della città zabaione, della città tendente al cairo. e vengono a cercare spaccati di cielo, nevi svettanti, acque limpide, vino forte. vedi scanno e poi non muori, ma non vivi più come prima. il suo urlo, la sua bellezza, la sua occhiata di lupo ti entrano dentro. da qui partivano un tempo pastori transumanti verso le pianure delle puglie, e partono processioni verso la valle del comino, da san gerardo, il santo che quando arrivano gli scannesi fa miracoli.
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