Un pomodoro in Groenlandia

di Giorgio Torelli

In un inedito del grande giornalista da poco scomparso il racconto acuto, ironico e tenero di un viaggio artico

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A un giornalista di lungo cabotaggio, che nel sovrapporsi degli anni di scrittura non abbia mai disatteso l’insinuante richiamo di quanto contengono le mappe geografiche, così intrise di vicende d’uomini; a costui (sono io), cronista itinerante per istinto, vocazione e mestiere sottoscritto, capita - anzi, spetta - di evocare per se stesso e per gli altri le voci, le figure e gl’incontri collezionati e messi in serbo per diventare repertorio e magistero del vero e talora del sorprendente. il mio non è mai un velleitario ripassare le situazioni vissute. è invece un mantenerle intatte nelle spirali verdi della memoria perché nulla di quel che ha formato l’esperienza (cioè la somma degli stupori e degli apprendimenti) possa scolorire e disperdersi. vengo così rivisitato dalle occasioni dei viaggi che furono e mi attardo a delibarle come incancellabili sequenze di un diario dei bei momenti, delle percezioni e del tempo sospeso.

Ed ecco un flash di rimembranze: sono in groenlandia, al 72° parallelo. è estate piena. il sole si propone sulla volta del cielo artico per quasi ventiquattr’ore e si accuccia tre o quattro minuti a mezzanotte per subito rimbalzare, rientrare in cielo, e scialare fiotti di luce. gli iceberg, a galla nella baia, hanno caldo, trasudano e, ogni quando, con iracondo fragore esplodono, disperdendo candore di relitti nel rigoroso blu del mare, dove ormai è tutto un flottare e un addossarsi di schegge ghiacciate senza fisionomia.

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