Nel febbraio del 1523 pietro vannucci detto il perugino (anche se in vita amava firmarsi “de castro plebis”, di città della pieve, dove era nato intorno al 1450) moriva colpito dalla peste, a fontignano. a settantacinque anni il pittore era ancora sui ponteggi, non su quelli delle principali chiese perugine, fiorentine o romane, ma nella piccola, periferica pieve del paesino umbro.
Cosa era successo a colui che il banchiere agostino chigi, in una lettera del 7 novembre 1500, aveva definito “il meglio maestro d’italia”? nel 1523 raffaello, il suo allievo più famoso e che proprio a perugia nel 1507 aveva esposto la deposizione della pala baglioni, manifesto di un nuovo linguaggio, era morto da tre anni. Michelangelo da dieci aveva concluso i rivoluzionari affreschi della cappella sistina, segnando uno stacco incolmabile con quelli che perugino e i maestri fiorentini avevano dipinto nel 1482. a fontignano e nelle altre località umbre pietro proseguiva a dipingere le sue vergini dolcissime, le sue pietà immobili, le sue adorazioni dei magi, come se nulla fosse accaduto.
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