Se il settecento fu il “secolo della ragione” e il novecento è stato quello che jünger ha potuto definire “il secolo dei culti”, l’ottocento fu davvero “il secolo della storia”: e della fede nella storia, dello storicismo, della storiografia.
Nulla di cui meravigliarsi pertanto ch’esso fosse anche il secolo delle polemiche sul senso, i caratteri, i metodi della storia. Partendo dalla considerazione che il progresso nelle ricerche storiografiche aveva reso straordinariamente complessa la ricostruzione della verità storica e dalla convinzione che una sia pur condizionata e convenzionale deroga rispetto a tale verità non fosse eticamente sostenibile, alessandro manzoni cominciava a scrivere nel 1841 e pubblicava nel 1850 un suo celebre saggio dal non breve titolo del romanzo storico e in genere dei componimenti misti di storia e d’invenzione, in cui affermava che una sintesi estetica di verità storica e d’invenzione romanzesca era impossibile e improponibile: con ciò approdando a una rigorosa condanna dell’intero “genere letterario” del “romanzo storico”. Frattanto però, nel 1842, egli aveva concluso la terza e definitiva stesura dei suoi promessi sposi, dimostrando come un’ampia e profonda conoscenza della storia fosse di fatto conciliabile con una non invasiva costruzione di un racconto romanzesco che ne rispettasse caratteri, limiti e connotati.
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