Quando passai i primi giorni nella foresteria del monastero in cui sarei entrato - l’abbazia cistercense di hauterive in svizzera -, giorni decisivi in cui la vocazione monastica mi venne a travolgere con dolce veemenza, annotai un’esperienza che facevo nel silenzio:
anche alle rondini basta
lo spazio infinito del chiostro.
sei soltanto respiro
e rumore di passi.
Accusavo l’impatto con una dimensione diversa del tempo e dello spazio, come se stessi scoprendo che dentro lo scorrere cronologico della mia vita, e le circostanze fisiche in cui mi trovavo, scorresse qualcosa di eterno e di infinito. mi accorgevo però che solo scandendo quelle ore e quei giorni e percorrendo a passi lenti i luoghi e le dimore di quel monastero mi era dato di lasciar liberamente scorrere in me quell’acqua viva di eternità infinita.
Quegli spazi esteriori mi abitavano dentro e il tempo di quella casa, di quella comunità, lo sentivo battere nel mio cuore.
intuivo che tutto mi concerneva nell’intimo e mi rendeva soggetto e protagonista del dono di un altro, di un altro che era in persona l’eterno e l’infinito che sentivo scorrere in quel luogo, in quel tempo e in me.
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