Qualcuno ha detto che nell’arte tutto parla di eternità. è vero. una natura morta, per esempio, di chardin, dove ci sono solo due mele, due castagne e una scodella di minestra, sottrae quelle povere cose alla vita di tutti i giorni e le immerge in un’atmosfera senza tempo, cioè in una dimensione di eternità. la considerazione diventa però più problematica alle soglie dell’arte moderna, quando l’impressionismo inizia a dipingere l’attimo fuggente. è vero che quell’attimo, fissato per sempre sulla tela, si dilata fino a uscire dal tempo, ma è anche vero che monet e compagni volevano esprimere proprio il momentaneo. per non parlare dell’action painting, che vuole testimoniare solo l’esistenza di un presente senza passato né futuro.
Ma, al di là di queste premesse, come l’arte ha rappresentato il concetto di eternità in senso proprio? nell’iconologia di cesare ripa del 1603, una sorta di enciclopedia che elenca tutti i modi in cui si possono esprimere in pittura i concetti astratti, l’eternità è rappresentata come una donna che, al posto delle gambe, ha due cerchi che si congiungono sopra la sua testa, simbolo dell’eterno ritorno del tempo, mentre sulla veste ha un ricamo di stelle e in mano ha due sfere d’oro, emblema l’uno e le altre di perennità.
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