Il solo modo che abbiamo di farci un’idea, sia pur vaga, dell’eternità, è per via contraria. ossia partendo dal concetto di tempo. eterno è ciò che non è temporale, ma è al di là del tempo e non conosce né passato né futuro. eterno è l’essere che non può non essere di parmenide (to on), è l’essere che è eternamente e necessariamente di aristotele (aion), eterno per i cristiani è dio, che tra i suoi molti nomi ha anche l’eterno (gli dei greci sono immortali, non eterni, infatti non conoscono la morte ma conoscono la nascita).
Naturalmente un conto è parlare dell’eterno in senso avverbiale e un altro conto parlarne in senso sostanziale e cioè con la e maiuscola (l’eterno). un conto è dire che l’essere è eternamente, e tutt’altro conto è proporre una nozione come quella di aeternitas di cui non esiste l’equivalente greco. e allora la domanda è: che cosa ha fatto sì che nel passaggio dal mondo greco al mondo cristiano l’eternità acquistasse un valore che prima non aveva e venisse identificata con l’essenza stessa di dio? Molti fattori, naturalmente. ma uno in particolare. ed è che il tempo a un certo punto ha cessato di essere una questione della fisica per diventare una questione della metafisica. una questione dell’anima, della coscienza, della spirito, una questione che riguarda non tanto i fenomeni esteriori quanto il nostro modo di percepirli.
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