La definizione più semplice e più intuitiva dell’eternità, quanto meno per noi “occidentali moderni” - che peraltro, in ciò come in molti altri aspetti della nostra psiche e del nostro immaginario, non siamo in grado di misurare la profondità, la lontananza e l’origine delle nostre intuizioni e delle nostre percezioni - è quella di un’infinita estensione del tempo: ore, giorni, anni che si susseguono senza fine. certo, qui insorge un immediato primo problema: il tempo che scorre nell’infinito è omogeneo, sempre uguale a se stesso?
O contempla comunque l’avvicendarsi quanto meno del giorno e della notte, delle differenti stagioni, magari addirittura di differenti stati meteorologici? ma pensare in tal modo l’eternità non equivale anche a postulare una nostra immobilità nel nostro pianeta?
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