Basta la Parola: il bello della Torah

di Giuseppe Laras

Il mondo ebraico lega da sempre il carattere della santità alla dimensione dell’ascolto piuttosto che alla visione Ma Bibbia e tradizione insegnano che non è indifferente all’arte

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Una riflessione sulla bellezza e sull’arte nella produzione spirituale e religiosa dell’ebraismo è inevitabilmente complessa, articolata e persino accidentata, dato il fermo divieto biblico che investe le arti figurative (Es 20,4; Dt 4,16-18 e 5,8). Secondariamente, occorre precisare che, tra i sensi accordati all’essere umano, la Bibbia privilegia nettamente l’udito − sospeso com’è tra l’ascoltare, l’intendere e il comprendere −, ponendosi in una prospettiva affatto particolare, radicalmente differente, ad esempio, da quella della cultura classica, incentrata primariamente sul senso della vista. Ciononostante, è innegabilmente vero che la Scrittura stessa afferma: «Assaggiate e vedete quanto è buono il Signore» (Sal 34,9), ricorrendo alla vista e, addirittura, al gusto.

Ed è altrettanto vero che spesso la Scrittura, nel definire “bello” qualcuno o qualcosa, per quel che concerne un primo livello interpretativo, quello cioè legato alla comprensione letterale e piana del testo, fa concreto riferimento a ciò che è bello da vedersi.
Appena si incomincia a riflettere intorno al concetto di bellezza nella Bibbia, viene subito alla mente un noto verso dei Proverbi (31,30): «Menzognera è l’avvenenza ed effimera è la bellezza; una donna che teme il Signore è degna di lode».

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