«E Dio vide che era bello»

di Gianfranco Ravasi

Nella Bibbia la bellezza non sembra avere un valore assoluto o contemplativo Il termine che la identifica, “tôb”, ha un significato che si lega al buono e al vero

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Perugino, Dio Padre benedicente, 1500, affresco, particolare. Perugia, Collegio del Cambio (Scala).

«In confronto col pensiero greco colpisce anzitutto la scarsa importanza che il concetto del bello ha nell’Antico Testamento. Complessivamente questo problema non riscuote l’interesse del pensiero biblico». Così scriveva Walter Grundmann nella voce kalós, “bello”, di uno dei monumenti dell’esegesi tedesca, il Grande Lessico del Nuovo Testamento.

A lui faceva eco Joachim Wanke quando, in un altro strumento importante come il Dizionario Esegetico del Nuovo Testamento, osservava che «in entrambi i Testamenti il bello nel senso della concezione platonica ed ellenistica non è preso in considerazione». Anzi, lo stesso autore − evocando indirettamente le parole paoline sulla croce “scandalo” e “stoltezza” per la cultura e l’ambiente in cui il cristianesimo è sbocciato e fiorito − notava che «la croce è certo la più radicale dissoluzione del concetto classico di perfezione e bellezza».

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Perugino, Dio Padre benedicente, 1500, affresco, particolare. Perugia, Collegio del Cambio (Scala).

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