“Abbiamo in faccia urbino ventosa”. Basta un verso e l’aquilone di pascoli prende il volo. affiora, in un attimo, il ricordo della gentile città sospesa nel tempo, ancora oggi lontana, stretta tra le alture di un appennino austero, arcano, quasi inaccessibile.
Da fano a fossombrone si sale in fretta, ma poi la strada cambia, impone di rallentare, sembra perdersi tra la campagna e i secoli, deviare, incagliarsi, finché non vediamo finalmente scintillare il marmo candido delle logge sulla facciata dei torricini, appuntiti come matite appena temperate.
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