Hammershøi interno giorno

di Paolo Bolpagni

A Rovigo la prima in mostra in Italia dedicata al pittore danese. Stanze silenziose dipinte in una gamma di grigi, dove aleggia il mistero

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Vilhelm Hammershøi, Riposo, 1905, Parigi, Musée d’Orsay

Nei manuali scolastici e universitari non è nemmeno citato, benché sia stato uno dei massimi pittori della fine dell’Ottocento e del primo quindicennio del XX secolo. Celebre in vita, non solo in Danimarca ma in molti Paesi europei, fu poi pressoché dimenticato nell’arco di pochi decenni. Non incasellabile, né modernista né antimodernista, impossibile da ridurre a una lettura ideologica. Fino a quando, negli anni ’80 del secolo scorso, diviene oggetto di riscoperta, prima lentamente e poi con un’accelerazione vertiginosa che lo ha posto al centro dell’attenzione dei principali musei – e della speculazione del mercato. Stiamo parlando di Vilhelm Hammershøi (Copenaghen, 1864-1916), al quale Palazzo Roverella di Rovigo dedica la prima retrospettiva mai realizzata in Italia.

Il linguaggio artistico di Hammershøi è inconfondibile. I ritratti intimisti e antipsicologici, talvolta persino di spalle, le vedute urbane deserte e silenziose, i paesaggi naturali essenziali e spogli, ma soprattutto gli interni domestici ordinati e disadorni, animati al massimo da una presenza umana, con la luce che filtra dalle finestre, siano esse visibili o nascoste all’osservatore, ovvero esterne alla composizione. E poi l’assenza di movimento e la scelta di colori castigati, perlopiù gravitanti su toni cinerei e bruni.

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Vilhelm Hammershøi, Riposo, 1905, Parigi, Musée d’Orsay

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