Per fare il suo ingresso nella cultura europea, il Grande Nord si serve dello strumento – spesso ingiustamente bistrattato – del sentito dire. Erodoto, libro IV delle Storie, paragrafo 13: pare che un certo Aristea di Proconneso abbia composto un poema sul viaggio che lui stesso, «invasato da Febo », avrebbe compiuto nelle terre di settentrione. Lassù, riassume Erodoto, vivono gli Issedoni e gli Arimaspi, questi ultimi con aspetto di ciclope; lassù ci sono draghi o grifoni a guardia dei giacimenti d’oro e, buoni ultimi, ci sono pure gli Iperborei, i più nordici di tutti, e i soli pacifici in mezzo a tanti popoli bellicosi.
Chiacchiere di mercanti, esagerazioni da giramondo, rese ancora più inaffidabili da quel poco della biografia di Aristea che Erodoto riesce a mettere insieme, riferendo di morti presunte e riapparizioni favolose. Alcuni elementi della descrizione, però, sono destinati ad avere fortuna, primo fra tutti quello che annuncia e un legame tra il fiato infuocato dei draghi e il gelo desolante che assedia gli Iperborei e le altre genti del Nord. Aggiungiamo, con il senno di poi, che da quelle parti ci si ripara dal freddo in abitazioni costruite con blocchi di neve, e che lo spettacolo di luce dell’aurora boreale risarcisce da mesi e mesi di buio a mezzogiorno, ed ecco che la logica degli opposti si sfarina in complicità nella contraddizione.
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