Nella Lapponia norvegese i fiordi non hanno la maestosa profondità di quelli, più celebri, che si aprono tra le montagne del sud del Paese. Qui i fiordi sono intimi, raccolti: quasi che anche la terra, come gli uomini, faticasse a conquistare il mare. Man mano che si spinge a nord, nell’Oceano Artico, il continente si frastaglia e sminuzza in isole basse e pietrose, in rientranze e protuberanze dai margini spigolosi; la nuda roccia affiora dal verde dei muschi e delle erbe, dai quali riescono a trarre nutrimento soltanto le mandrie di renne semibrade nel pendolo millenario della loro migrazione stagionale tra l’estremo nord e l’ancor più gelido entroterra della Lapponia.
È l’antica transumanza dei Sami, il popolo che un tempo chiamavamo lapponi; poco resta della loro tradizione, fatta di slitte, tende e abiti tinti a colori vivaci. Oggi hanno perfino un loro parlamento transnazionale con sede a Karasjok. Erano il popolo dell’entroterra, che sulla costa si è incontrato nei secoli con gli approdi dei figli dei Vichinghi: i porti isolati sgranati lungo la costa e le ancora più rade fattorie, quasi sempre in legno dipinto di rosso con il tetto nero e gli infissi bianchi.
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