La prima volta si presentarono in 92, tutti cacciatori di sentimenti. Ma un po’ timidi, e vestiti con le maglie di lana, troppo strette o troppo larghe. Molti di loro erano in sella a biciclette splendide ma improbabili, riesumate dal fondo della cantina. Si corse una settimana dopo la “Granfondo Gino Bartali”, come regalo per tutti i partecipanti, e anche per consumare il ben di Dio avanzato nei ristori in quella occasione. Qualcuno si guardava senza parlare, ma l’espressione diceva tutto: chi me lo fa fare?
Perché ancora oggi, la prima domenica di ottobre, quelli dell’Eroica partono all’alba e a volte arrivano con il buio. La luce del sole, quando c’è, è un intermezzo tra Gaiole in Chianti e Gaiole in Chianti, per 200 e più chilometri dalla partenza al traguardo, a seconda del percorso scelto. Ventotto anni dopo, molto poco è cambiato. L’Eroica non era e non è una gara di ciclismo, quello è uno sport diverso. Dove la gente ai margini della strada riesce ad attendere per ore il soffio della sfilata del gruppo che dura tre secondi: a meno che non sei sullo Stelvio, è sempre faccenda di un amen. Hai il tempo di dire: arrivano, e già li vedi di schiena.
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