La strada dell’Eden, il giardino della giustizia

di Giovanni Cesare Pagazzi

opere di Davide Maria Coltro

Adamo aveva dato a ogni cosa il suo nome: unico, irripetibile e perduto. Nella poesia affiora la memoria di quel luogo e l’affetto per la sua mancanza E nel desiderio di curare giardini: non importa se di una reggia o in un vaso sul balcone

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Icona digitale della serie Medium Color Landscapes (2003-2024) trasmesse a “quadri mediali”.

Tirreno, Adriatico, Indiano, Ponto, Egeo, Ionio, Atlantico, Mar Rosso e tanti mari ancora. Danubio, Reno, Po, Giordano, Tevere e Rodano… In poche righe si percorre gran parte dell’idrografia conosciuta allora. Piante e radici medicinali, abeti, rose, viti, pioppi, cipressi, faggi, pini, fichi, gigli. Pagine e pagine di alberi, fiori, frutti ed erbaggi vari. Cornacchie, pappagalli, merli, pernici, rondini, folaghe, pesci, tortore, api, lepri, camaleonti, cavallette, pipistrelli, cavalli, asini, volpi, cervi, galli, leoni, leopardi, formiche, serpenti, mucche, pecore, ricci, lupi, scimmie, cani, vermi, elefanti… Una lunga litania di animali, descritti con cura.

Un libro di scienze naturali? Un trattato di etica ambientale? Una favola per bambini? Niente affatto. Si tratta di una raccolta di omelie di circa millesettecento anni fa, uscite dalla bocca austera di Ambrogio, vescovo di Milano. Commentano i sei giorni della Creazione e compongono il suo Exameron, spesso ingiustamente considerato la brutta copia di quello più titolato di Basilio il Grande. Effettivamente la dipendenza dal testo greco balza all’occhio. Ma è pure lampante la sua distanza.

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