Incensi e murales. Ecco la Calabria albanese

di Massimiliano Rella

Presenti dal XV secolo, gli arbëreshë mantengono liturgie, canti, tradizioni. E la lingua. Un viaggio tra i 28 paesi della comunità da Civita a Lungro

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Il paese di Civita, Çifti in lingua arbëreshë

Dopo l’ultima curva di una strada collinare, solitaria e poco trafficata, spuntano finalmente i tetti di Civita, borgo tra i più belli d’Italia, alle pendici sud del Parco Nazionale del Pollino. Un cartello all’imbocco dell’abitato ci indica, nella lingua degli arbëreshë, che siamo giunti a Çifti.

Questo paesino di 790 abitanti in provincia di Cosenza, aggrappato tra rupi spigolose al di sopra delle Gole del Raganello – un’angusta forra in cui scorre un fiumiciattolo d’acque fresche e cristalline – è decisamente il borgo meglio conservato di tutta l’Arbëria calabrese, una comunità diffusa di 28 paesi: si stimano 58mila persone (sulle 100mila complessive in territorio italiano), di cui 32mila battezzate nell’eparchia di Lungro (Ungra), la “diocesi” istituita nel 1919 da papa Benedetto XV con la bolla Catholici fideles. In comunione con la Santa Sede, le Chiese cattoliche della minoranza arbëreshë mantengono il rito orientale.

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