Poco più di trent’anni fa, nel 1993, il linguista Giuseppe Francescato in un lavoro dedicato alle minoranze linguistiche in Italia (intitolato Sociolinguistica delle minoranze) scriveva che per molti italiani l’esistenza di gruppi anche consistenti di connazionali la cui lingua nativa era un’altra varietà linguistica, spesso molto diversa dall’italiano, era una sorpresa: in Italia, si pensava, si parla una sola lingua, appunto l’italiano. Alla percezione di una nazione unita e omogenea dal punto di vista linguistico, tuttavia, corrispondeva (e corrisponde tuttora) una realtà decisamente più complessa: sostanzialmente da sempre il panorama linguistico nazionale si caratterizza per una grande varietà, data dalla presenza di numerosi idiomi che rendono il nostro uno dei Paesi europei con la maggiore ricchezza e diversità linguistica; sul territorio sono ancora oggi documentate quasi tutte le famiglie linguistiche indoeuropee diffuse in Europa (con l’unica eccezione di quella baltica e di quella celtica, scomparsa dopo la romanizzazione dell’Italia settentrionale). In Italia, dunque, il plurilinguismo rappresenta la condizione prevalente, e non certo un’eccezione: dietro un’apparente compattezza linguistica si cela in realtà una rete intricata di lingue “altre”. A questo già di per sé ricco scenario si sono inoltre aggiunti, negli ultimi decenni, nuovi parlanti, arrivati in seguito a processi migratori, ciascuno portatore del proprio, personale repertorio linguistico. Di conseguenza, lo spazio linguistico nazionale ha subito una trasformazione profonda: il quadro si è ulteriormente ampliato con l’aggiunta di nuove lingue, che rappresentano oggi un nodo cruciale nel dibattito sulla tutela delle lingue e delle comunità minoritarie.
Ma torniamo al plurilinguismo che da secoli caratterizza il territorio italiano. Quante lingue si parlano tradizionalmente in Italia? La questione è complessa (andrebbe innanzitutto stabilito che cosa intendiamo per “lingua”, questione tuttora oggetto di dibattito). Volendo provare a rispondere, troviamo innanzitutto, accanto all’italiano, le lingue regionali (comunemente note come “dialetti”: piemontese, siciliano, veneto e così via), ciascuna con le proprie sottovarietà (per esempio, il siciliano di Catania, o quello di Palermo); lingue strutturalmente e storicamente autonome, discendenti, come l’italiano, dal latino. Oltre a ciò, sono presenti numerose lingue minoritarie di antico insediamento, da secoli radicate sul territorio. L’interesse verso tali comunità linguistiche è iniziato verso la seconda metà del Novecento, accompagnato da riflessioni sulla loro protezione e sulla loro valorizzazione. Nei decenni precedenti, i gruppi di lingua minoritaria avevano subito un processo di italianizzazione forzata e assimilazione linguistica portato avanti dal regime e dall’ideologia fascista, con l’intento di favorire il senso di appartenenza nazionale rimuovendo tutte le presunte barriere comunicative (compreso l’inglese e altre lingue straniere), incentivando l’uso parlato dell’italiano, fino a quel momento prevalentemente impiegato in forma scritta, e proibendo ogni possibilità di espressione culturale, linguistica e identitaria “altra”. È anche in risposta a ciò che l’articolo 6 della Costituzione recita, non a caso, «La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche» (norme che arriveranno solo con la legge 482/1999, di cui parleremo a breve). Gli anni Sessanta vedono la nascita della sezione italiana dell’Associazione internazionale per la difesa delle lingue e culture minacciate, mentre negli anni Settanta alcune iniziative editoriali (come il volume Le lingue tagliate di Sergio Salvi del 1975) provano a sensibilizzare la popolazione sul tema delle minoranze linguistiche. Tuttavia, il riconoscimento giuridico di queste comunità arriva solo alla fine degli anni Novanta, con la legge 482/1999, “Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche”, che, a più di cinquant’anni di distanza, dà attuazione all’articolo costituzionale. Questo provvedimento, ancora oggi l’unico riferimento normativo a livello nazionale, ha avuto conseguenze rilevanti sia per le comunità coinvolte, sia per la considerazione complessiva del patrimonio linguistico nazionale.
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