Fin da subito Madeira è entrata nell’orbita della cosiddetta letteratura di viaggio. Si tratta in gran parte di diari o di testi epistolari privati, dal carattere vagamente etnografico o commerciale, per lo più di non grande profondità, come gli esercizi praticati da acquerellisti amatoriali. Troviamo, però, anche annotazioni curiose e piuttosto precise in testi letterari, che sono al tempo stesso documentali, come quelli firmati da Camões, Gaspar Frutuoso, Ellen Taylor, Raul Brandão, Ferreira de Castro, John dos Passos o Graham Greene. Ora, potremmo accostare l’una all’altra tutte queste narrazioni di scoperta, componendo così un grande arazzo testuale, e ritroveremmo sempre lo stesso, reiterato sentimento per parlare del primo impatto con Madeira.
È anche vero che alla fine, passato un tempo nemmeno troppo lungo, i forestieri restano come storditi, assaliti da un’inattesa malinconia, come quando saliamo a un’altitudine troppo elevata alla quale non siamo avvezzi, e proviamo il disturbo della testa che gira e di sentire il suolo sfuggirci da sotto i piedi. Come esiste questo mal di montagna, che in Sudamerica è chiamato soroche, esiste anche un malessere insulare per chi non abbia avuto il tempo di ambientarsi in questo luogo. Basta leggere, per capirlo, Le isole sconosciute di Raul Brandão. Egli si sente espulso verso la sua terra d’origine come se fosse la stessa isola a respingerlo. Ma l’impatto iniziale, dicevo, è di stupefazione. E lo testimonia abbondantemente la sparuta letteratura di viaggio giunta fino a noi.
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