Il soprannome di “Beato Angelico” si attaglia perfettamente alla spiritualità e all’arte “celestiale” di Guido di Piero, raffinatissimo pittore capace di coniugare la cultura figurativa tardogotica con il linguaggio del primo Rinascimento. Nato a Vicchio nel Mugello, dunque conterraneo di Giotto, prese i voti come domenicano osservante a San Domenico di Fiesole intorno al 1420 col nome di Fra Giovanni, ma fu definito Angelicus pictor e Beatus pochi anni dopo la morte, avvenuta a Roma il 18 febbraio 1455 nel convento di Santa Maria sopra Minerva, dov’è ancora la sua tomba monumentale. Giovanni Paolo II lo ha proclamato patrono degli artisti nel 1982 e beatificato due anni dopo.
Pur noto in tutto il mondo, il Beato Angelico è stato celebrato solo in rare occasioni da grandi mostre monografiche. La prima nel 1955, nel quinto centenario della morte, raccolse a Firenze e a Roma un numero impressionante di dipinti (inclusi polittici oggi inamovibili) e miniature. Da allora si è realizzata in Italia un’altra importante rassegna nel 2009, ai Musei Capitolini di Roma, mentre all’estero se ne sono tenute a New York (2005), Parigi (2011), Boston (2018) e Madrid (2019). Dunque, la grande esposizione che si è aperta a Firenze può considerarsi un evento straordinario, con oltre centoquaranta opere del protagonista e di pittori e scultori suoi contemporanei. Il curatore, Carl Brandon Strehlke, tra i più autorevoli studiosi di Angelico – coadiuvato da Angelo Tartuferi, Stefano Casciu e un gruppo di valenti studiosi – ha ordinato il percorso in ben undici sezioni nelle sedi espositive del Museo di San Marco e di Palazzo Strozzi.
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