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A Monte Oliveto La luce inattesa di Luca Signorelli

La restaurata “Vita Benedicti” a Monte Oliveto restituisce un’immagine inedita dell’artista

​Antonio Paolucci


Monte Oliveto Maggiore, non lontano da Siena, è uno dei più antichi e venerabili monasteri benedettini d’Italia e d’Europa, fondato settecento anni fa da san Bernardo Tolomei. Qui, nel chiostro grande, Luca Signorelli, coadiuvato dalla sua bottega, dipinse ad affresco otto storie della vita di san Benedetto. Correvano gli anni 1497-1498, quasi alla vigilia dell’impresa del Giudizio finale nella cappella di San Brizio nel Duomo di Orvieto, l’opera per la quale il Signorelli è universalmente celebre. Il pittore era stato chiamato dall’abate generale degli olivetani, Domenico Airoldi, il quale poi, rieletto superiore del monastero nel 1505 (Signorelli ormai era lontano, impegnato, dopo Orvieto, nelle città della Toscana interna, dell’Umbria e delle Marche) affidò il completamento del ciclo al Sodoma.
Le scene affrescate da Signorelli, ora meglio leggibili dopo il restauro condotto dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, raffigurano otto episodi della vita di san Benedetto: Dio punisce il prete Fiorenzo che si era rallegrato che il santo avesse lasciato Subiaco; san Benedetto  evangelizza gli abitanti di Montecassino; esorcizza il diavolo; resuscita un monaco ucciso dal crollo di un muro; rimprovera due monaci che hanno disattesa la regola mangiando fuori; rimprovera il fratello del monaco Valeriano per avere violato il digiuno; scopre l’inganno del finto Totila; incontra il re Totila e gli dà il benvenuto.
Sui muri del chiostro maggiore di Monte Oliveto si dispiega una “Vita Benedicti” che è in realtà una incursione nella storia, nella stagione di mutazione e di transito che vede il vecchio mondo trasfigurare e dissolversi e nascere il nuovo. Gli affreschi di Signorelli ci accompagnano in un tempo grande e calamitoso nel quale l’ordine benedettino si afferma con il lavoro (la costruzione di nuovi edifici), evangelizza plaghe periferiche (Subiaco, Montecassino) ancora dedite ai culti pagani, afferma il rispetto rigoroso della Regola che è disciplina etica e strumento di aggregazione e di successo per intervenire nell’universo fisico e sociale, accoglie amichevolmente l’altro, il diverso (il re dei barbari Totila che incontra Benedetto), esorcizza il demonio, principe di questo mondo e presenza inquietante e malefica nella vita e nella storia degli uomini. I diavoli demoliscono un edificio in muratura che ci appare diroccato come per effetto di un terremoto (lo vediamo nell’episodio della punizione del prete Fiorenzo), mentre i monaci reagiscono agli assalti diabolici evangelizzando i popoli e abbattendo gli idoli pagani abitati dal maligno. È un episodio, quest’ultimo, collocato sullo sfondo dell’affresco con San Benedetto in atto di evangelizzare gli abitanti di Montecassino, che ci trasmette, nella nitida e ancora pierfrancescana prospettiva – memore, si direbbe, della Flagellazione di Piero a Urbino –, un senso di armonioso stupore.
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