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Alla scuola delle cattedrali

Un itinerario di studio negli anni Settanta fra i capolavori del gotico in Francia diventa un viaggio di formazione spirituale

​Maria Antonietta Crippa

Come molti, ho vissuto viaggi di formazione che hanno costruito in me patrimoni di memorie più che preziose. Sono divenuti, nel tempo, termini di paragone, riferimenti per molte letture successive, per studi posteriori non prefigurabili e per l’insegnamento, fertili dunque da molti punti di vista. Sono stati viaggi che hanno lasciato esigenze di ritorni, quasi avessero costituito primi, essenziali strati di conoscenze dal vivo destinate a crescita, come ancore di un sapere tranquillamente posate sul fondo della mia autocoscienza. L’invito a descrivere un mio “viaggio d’autore” mi ha immediatamente richiamato uno di questi. Non l’ho mai elaborato in libro o in saggio, ma molta della mia attività di storica dell’architettura anche contemporanea e del mio insegnamento ne è dipesa. Vi si collegano in particolare i miei studi su Gaudí, su Le Corbusier, sulle componenti strutturali e tecnologiche del mestiere d’architetto, sulle connessioni tra riflessioni teologiche filosofiche e idee e ideali d’architettura delle varie epoche, sulla predilezione per la storia, per la tutela, per la conservazione e per il restauro.
Fu un viaggio vissuto in economia con amici, negli anni Settanta del secolo scorso, per la conoscenza delle cattedrali gotiche dell’area Nord-occidentale della Francia, cattedrali tout court europee inscritte in un quadro fenomenologico storico e mitico al contempo, perché frutto di una corale genialità emersa tra XI e XIII secolo dapprima in un’area ristretta e poi diffusa ovunque in variazioni costruttive sempre grandiose e per lo più non monotone ripetizioni. La loro storiografia, costituitasi a partire dal XIX secolo in concomitanza con il consolidarsi delle identità politiche nazionali e in seguito molto ristrutturata, aveva, come ha tuttora, coordinate piuttosto complesse. Ma il nucleo delle prime invenzioni brillava di luce propria. Desideravo verificarne la consistenza, ragione che rese unico nel suo genere questo viaggio. Esso fu contrassegnato, inoltre, da letture di libri che risultarono spesso vere e proprie immersioni in incontri immaginari con luoghi e personalità d’eccezione di un misterioso, colto e dinamico Medioevo. Tra i molti testi che lessi prima del viaggio, alcuni furono fondamentali.
Conoscevo da tempo Quand les cathé­drales étaient blanches: voyage au pays des timides, uscito in Francia nel 1937 e in Italia solo nel 1975: un originale reportage nato nel viaggio verso gli Stati Uniti sul transatlantico “Normandie” in compagnia di Ferdinad Léger, scritto da Le Corbusier, allora celebrato come architetto di grandi proposte utopiche. Con piglio scanzonato vi proclamava l’emergere di un cambiamento d’epoca nello “sfolgorio della giovinezza” del progresso nordamericano, non del tutto riducibile alle logiche del big money: affiorava nei grattacieli, architetture paradossalmente «sublimi, ingenue, toccanti e idiote» nello stesso tempo, perché troppo piccole, troppo addensate, troppo timide. Occorreva ritrovare l’impetuoso orgoglio della tradizione europea e il gusto della complessità costruttiva e urbana delle cattedrali francesi. Il giovane e ambizioso autore le aveva studiate dal vivo e nella Bibliothèque Nationale di Parigi. Vi aveva scoperto l’ottimismo costruttivo dell’XI secolo e l’entusiasmo che aveva rivestito l’Occidente con un bianco mantello di chiese, come documentò il monaco Rodolfo il Glabro. Secondo il maestro svizzero, l’immaginazione moderna doveva laicamente muovere i propri passi in direzione del recupero creativo della straordinaria novità delle cattedrali, noto riferimento anche per Walter Gropius nella concezione della scuola della Bauhaus in Germania.
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