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Bill Viola, il tempo sospeso

A Firenze la videoarte dell’artista americano: dalla riflessione sul nascere, sul morire e sulla coscienza di sé al dialogo con i maestri del Rinascimento

Negli ultimi anni non è stato difficile incontrare i video di Bill Viola in Italia. È senza dubbio uno degli artisti contemporanei più conosciuti e riconosciuti anche dal grande pubblico, e diverse occasioni espositive gli sono state dedicate nel nostro Paese. Ma l’ampia mostra allestita a Firenze a Palazzo Strozzi – con importanti “sconfinamenti” come il Museo dell’Opera del Duomo (dove le sue opere dialogano con la Pietà di Michelangelo e la Maddalena di Donatello), gli Uffizi e il Battistero – per il videoartista americano è quasi un ritorno a casa. Bill Viola è stato infatti fiorentino per pochi ma cruciali anni della sua carriera, in cui ha avuto modo di conoscere da vicino l’arte del Rinascimento, un contatto che si è rivelato nel tempo fondamentale per la sua poetica.
Firenze, una delle città italiane con il rapporto più difficile con l’arte contemporanea, nei primi anni Settanta ha ospitato uno dei primi, pionieristici centri di produzione di videoarte, l’Art/Tapes/22. Fondato nel 1972 da Maria Gloria Conti Bicocchi, vi lavorarono tra gli altri Vito Acconci, Allan Kaprow, Dennis Oppenheim. Bill Viola vi arriva ventitreenne nel 1974, come direttore tecnico e responsabile della produzione, fino al 1976, quando lo studio chiude.
L’arte elettronica di Viola mette al centro il corpo. A differenza dei colleghi, che lo interpretano in chiave concettuale, come arma politica o ancora spingendolo ai limiti fisici, Bill Viola torna a esplorarne i cardini esperienziali: la nascita, la morte, la coscienza di sé, i legami reciproci. E lo fa all’interno di una prospettiva spirituale (sebbene non propriamente fideistica o confessionale), tale per cui Viola esplora il corpo come soglia dell’oltre. L’esperienza diretta dell’arte sacra italiana, ritrovata nel suo habitat architettonico e paesaggistico, ma anche la conoscenza dello zen, grazie a lunghi viaggi in Giappone, e della mistica sufi compongono il quadro di una ricerca interessata al recupero del sacro.
Molti dei suoi lavori – spesso composti in trittici e polittici, in similitudine alle antiche pale d’altare – si ispirano direttamente ai capolavori di Quattro e Cinquecento, come The Greeting (1995) dalla Visitazione di Pontormo, Emergence (2002) dalla Pietà di Masolino, o The Deluge (2002) che prende spunto da Paolo Uccello. In altri casi si riconosce una radice antica, persino classica, anche in assenza di una fonte esplicita. Non si tratta però di semplici tableaux vivants. Lo scopo non è ricostruire un quadro o suggerire una citazione. I suoi video elaborano gli spunti iconografici per esplorarne i significati e riportarli all’attenzione di tutti. La narrazione acquista un tono ipnotico grazie alla dilatazione del flusso temporale, così lento da perdere il nome di azione e generare un’aura sacrale.

di Alessandro Beltrami